Se la musica è
per gli esseri umani esperienza di comunicazione/relazione addirittura ancor
prima di venire al mondo, si può anche pensare ai suoni come trasmettitori di
informazioni. A ben riflettere, queste informazioni, pur essendo di natura
essenzialmente acustica, rimandano a noi tutti, la sensazione di poter
rintracciarvi emozioni, pensieri, movimenti…
Alcuni studiosi nel
soffermarsi a riflettere sul “senso” della musica esprimono alcune
considerazioni molto interessanti e ricche di spunti di riflessione.
“Le
emozioni e le fantasie innescate da una musica stanno strette nel significato
delle parole, come in una traduzione infelice…La musica non significa nulla in
senso linguistico. Produce pensiero e muove affetti per vie non discorsive. Il
fatto che…quella musica abbia senso per me non sta nel registro linguistico, ma
forse in qualche intavolatura interiore che non è pertinente alle parole, ma
agli affetti”[1].
Queste parole di
D. Gaita, rispetto a cosa realmente il suono e/o la musica rimandino al nostro
sentire più intimo, sono illuminanti per tentare di andare un po’ oltre la
superficie, senza avere, però, la pretesa di poter veramente “possedere”
l’evento sonoro-musicale.
La musica è
portatrice di senso e non di significato.
Andando in
questa direzione non si può non tenere conto della ricerca sul fonosimbolismo
fatta da Dogana, il quale analizza il rapporto tra il linguaggio verbale e le
qualità espressive legate alla materia sonora di cui è fatto, arrivando a
descrivere alcune funzioni generali, utili alla comprensione dei meccanismi di
trasmissione del senso, attraverso l’impiego del suono. Lo studioso privilegia la ricchezza
espressiva della lingua, che, secondo il suo punto di vista, ha uno stretto
legame con le forme prelinguistiche. In
pratica, il linguaggio possiede qualità espressive che vengono percepite a
livello emotivo-affettivo.
Ad
esempio, le qualità acustiche e articolatorie di vocali e consonanti evocano
associazioni, significati di un certo
tipo:
le
vocali i, e evocano piccolo, fine, leggero, sottile
le
vocali a, o, u evocano grosso,
pesante, grande, arrotondato
Le
consonanti hanno valenze espressive in relazione alle percezioni tattili:
c g
s l f
v s rimandano a
molle, liscio, soffice, flaccido...
r
rimanda a ruvido,
p t g d a duro, m
d t r
a mastodontico
Si
possono, così, distinguere tre categorie di massima a cui ricondurre i fenomeni
fonosimbolici:
·
il simbolismo ecoico relativamente ai casi di
riproduzione imitativa
·
il simbolismo sinestesico relativamente ai casi
in cui l’elemento sonoro evoca
esperienze che
richiamano altre dimensioni sensoriali (piccolo/grosso…)
·
il simbolismo fisiognomico relativo ai casi di
pertinenza psicologica
Anche la descrizione che M. Imberty fa degli
“schemi di rappresentazione” è utile per comprendere il “senso” del suono.
Relativamente
al primo schema, quello di tensione e di distensione cinetica e posturale,
Imberty, che, tra l’altro, evidenzia uno stretto rapporto tra movimenti ed atteggiamenti emozionali,
sostiene che le tensioni e distensioni si manifestano sul piano musicale con
tempi lenti ad elevato dinamismo nei casi di tensione, con tempi sempre lenti
ad un dinamismo interno minore nei casi di distensione.
Relativamente
allo schema di risonanza emotiva si sofferma sul rapporto tra l’organizzazione
formale della musica e l’integrazione psichica dell’individuo, per cui ad una
complessità formale elevata corrisponde generalmente una reazione di angoscia e
di aggressività o di malinconia e di depressione, mentre a fronte di una
complessità formale contenuta prevalgono risposte d’euforia e di serenità.
Infine,
riguardo allo schema di spazialità, pone attenzione alle rappresentazioni
cinetiche ed iconiche. Queste ultime sono legate alla predominanza di immagini,
che in realtà coincidono con la trasposizione visiva di forme sonore (vedi
l’immagine dell’acqua derivante dall’ascolto di alcune composizioni
impressioniste).
Nelle
rappresentazioni cinetiche emergono movimenti, stati emozionali associati ai
movimenti o determinati dai movimenti stessi. Anche qui ha luogo la
trasposizione visiva delle forme sonore con una forte componente ritmica in
genere.
Entrambe
le analisi, secondo Postacchini e gli altri, trattano il problema del “senso”
in musica con un punto di contatto rilevante: l’ancoraggio corporeo.
“Risulta evidente come ogni tentativo di
analizzare e descrivere il senso dei suoni debba far riferimento all’organismo
e alle sue modalità di funzionamento in maniera prioritaria”[2].
Quanto esposto come può rapportarsi al processo musicoterapico?
Gli autori poc’anzi citati hanno riformulato, ai fini musicoterapici, i concetti di Dogana e Imberty nel modo seguente:
Gli autori poc’anzi citati hanno riformulato, ai fini musicoterapici, i concetti di Dogana e Imberty nel modo seguente:
a) schema di rappresentazione
psicomotoria: quell’area
dell’espressività sonora che è in relazione con gli stati di tensione e di
distensione sia posturali che emozionali;
b) schema di rappresentazione sinestesica:
quell’area dell’espressività sonora strettamente connessa alla relazione
esistente tra suoni e sensazioni, quell’area che nella teoria di Dogana
costituiva il fonosimbolismo sinestesico e della quale si poteva considerare
elemento integrante il discorso sullo schema di rappresentazione spaziale fatto
da Imberty, dato che gli elementi iconici e cinetici di cui parlava derivano
direttamente da trasposizioni visive della gestualità musicale degli andamenti
ritmici;
c) schema di rappresentazione
fisiognomica: quell’area dell’espressività sonora che riguarda le qualità
morali, i contenuti psicologici, gli atti mentali superiori, la struttura
psichica dell’individuo, insomma ciò che costituiva il fonosimbolismo
fisiognomico di Dogana e lo schema di rappresentazione emotiva di Imberty.
Proseguendo
nelle proprie ipotesi interpretative, gli autori formulano un’analogia tra l’essere
umano e il suono, in quanto entrambi sostanzialmente composti di tre elementi:
movimento, sensorialità ed atti mentali. Esisterebbe tra loro un rapporto di
reciprocità nel senso che se si può cogliere nel suono il movimento, la
sensorialità, il pensiero che l’hanno creato, è altrettanto possibile che un
suono provochi negli esseri umani movimenti, sensazioni, emozioni, pensieri.
Quest’ipotesi molto suggestiva ci proietta in un gioco di rimandi tra l’uomo e
il suono, rimandi che si intrecciano fino a determinare per ciascun essere
umano un’impronta digitale sonora in cui convivono dati biologici, psicologici, culturali e
antropologici. Si tratta di una dimensione che può essere assimilata a quella
che Winnicott definisce “area transizionale”, un ponte tra interno ed esterno,
una zona intermedia che non appartiene né alla realtà esterna né alla realtà
interna, una zona franca, neutra, libera da invasioni o da aggressioni.
La
musica, intesa in senso molto ampio, secondo questa prospettiva, potrebbe assumere
i contorni di “oggetto transizionale” (per Winnicott si tratta di un oggetto
materiale e reale come un pezzo di stoffa o un orsacchiotto di peluche, che per
esempio il bambino tiene con sé al momento di addormentarsi), che
nell’esperienza musicoterapica andrebbe a rappresentare gli scambi
sonoro-musicali che si sviluppano in una comunicazione condivisa.