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venerdì 20 marzo 2015

I diversi livelli della relazione uomo-suono secondo alcune teorie





Se la musica è per gli esseri umani esperienza di comunicazione/relazione addirittura ancor prima di venire al mondo, si può anche pensare ai suoni come trasmettitori di informazioni. A ben riflettere, queste informazioni, pur essendo di natura essenzialmente acustica, rimandano a noi tutti, la sensazione di poter rintracciarvi emozioni, pensieri, movimenti…
Alcuni studiosi nel soffermarsi a riflettere sul “senso” della musica esprimono alcune considerazioni molto interessanti e ricche di spunti di riflessione.
 “Le emozioni e le fantasie innescate da una musica stanno strette nel significato delle parole, come in una traduzione infelice…La musica non significa nulla in senso linguistico. Produce pensiero e muove affetti per vie non discorsive. Il fatto che…quella musica abbia senso per me non sta nel registro linguistico, ma forse in qualche intavolatura interiore che non è pertinente alle parole, ma agli affetti”[1].

Queste parole di D. Gaita, rispetto a cosa realmente il suono e/o la musica rimandino al nostro sentire più intimo, sono illuminanti per tentare di andare un po’ oltre la superficie, senza avere, però, la pretesa di poter veramente “possedere” l’evento sonoro-musicale.

La musica è portatrice di senso e non di significato.
Andando in questa direzione non si può non tenere conto della ricerca sul fonosimbolismo fatta da Dogana, il quale analizza il rapporto tra il linguaggio verbale e le qualità espressive legate alla materia sonora di cui è fatto, arrivando a descrivere alcune funzioni generali, utili alla comprensione dei meccanismi di trasmissione del senso, attraverso l’impiego del suono.  Lo studioso privilegia la ricchezza espressiva della lingua, che, secondo il suo punto di vista, ha uno stretto legame con le forme prelinguistiche.  In pratica, il linguaggio possiede qualità espressive che vengono percepite a livello emotivo-affettivo.
Ad esempio, le qualità acustiche e articolatorie di vocali e consonanti evocano associazioni, significati di un certo  tipo:
le vocali i, e   evocano     piccolo, fine, leggero, sottile
le vocali a, o,  u     evocano    grosso, pesante, grande, arrotondato
Le consonanti hanno valenze espressive in relazione alle percezioni tattili:
c  g   s    l   f   v    s    rimandano a  molle, liscio, soffice, flaccido...
r   rimanda a  ruvido,  p   t   g   d    a   duro,  m    d    t   r    a    mastodontico
Si possono, così, distinguere tre categorie di massima a cui ricondurre i fenomeni fonosimbolici:
·         il simbolismo ecoico relativamente ai casi di riproduzione imitativa
·         il simbolismo sinestesico relativamente ai casi in cui l’elemento sonoro evoca
      esperienze che richiamano altre dimensioni sensoriali (piccolo/grosso…)      
·         il simbolismo fisiognomico relativo ai casi di pertinenza psicologica

 Anche la descrizione che M. Imberty fa degli “schemi di rappresentazione” è utile per comprendere il “senso” del suono.
Relativamente al primo schema, quello di tensione e di distensione cinetica e posturale, Imberty, che, tra l’altro, evidenzia uno stretto rapporto  tra movimenti ed atteggiamenti emozionali, sostiene che le tensioni e distensioni si manifestano sul piano musicale con tempi lenti ad elevato dinamismo nei casi di tensione, con tempi sempre lenti ad un dinamismo interno minore nei casi di distensione.
Relativamente allo schema di risonanza emotiva si sofferma sul rapporto tra l’organizzazione formale della musica e l’integrazione psichica dell’individuo, per cui ad una complessità formale elevata corrisponde generalmente una reazione di angoscia e di aggressività o di malinconia e di depressione, mentre a fronte di una complessità formale contenuta prevalgono risposte d’euforia e di serenità.
Infine, riguardo allo schema di spazialità, pone attenzione alle rappresentazioni cinetiche ed iconiche. Queste ultime sono legate alla predominanza di immagini, che in realtà coincidono con la trasposizione visiva di forme sonore (vedi l’immagine dell’acqua derivante dall’ascolto di alcune composizioni impressioniste).
Nelle rappresentazioni cinetiche emergono movimenti, stati emozionali associati ai movimenti o determinati dai movimenti stessi. Anche qui ha luogo la trasposizione visiva delle forme sonore con una forte componente ritmica in genere.
Entrambe le analisi, secondo Postacchini e gli altri, trattano il problema del “senso” in musica con un punto di contatto rilevante: l’ancoraggio corporeo.
“Risulta evidente come ogni tentativo di analizzare e descrivere il senso dei suoni debba far riferimento all’organismo e alle sue modalità di funzionamento in maniera prioritaria”[2].
Quanto esposto come può rapportarsi al processo musicoterapico?
Gli autori poc’anzi citati hanno riformulato, ai fini musicoterapici, i concetti di Dogana e Imberty nel modo seguente:
a) schema di rappresentazione psicomotoria:  quell’area dell’espressività sonora che è in relazione con gli stati di tensione e di distensione sia posturali che emozionali;
b) schema di rappresentazione sinestesica: quell’area dell’espressività sonora strettamente connessa alla relazione esistente tra suoni e sensazioni, quell’area che nella teoria di Dogana costituiva il fonosimbolismo sinestesico e della quale si poteva considerare elemento integrante il discorso sullo schema di rappresentazione spaziale fatto da Imberty, dato che gli elementi iconici e cinetici di cui parlava derivano direttamente da trasposizioni visive della gestualità musicale degli andamenti ritmici;
c) schema di rappresentazione fisiognomica: quell’area dell’espressività sonora che riguarda le qualità morali, i contenuti psicologici, gli atti mentali superiori, la struttura psichica dell’individuo, insomma ciò che costituiva il fonosimbolismo fisiognomico di Dogana e lo schema di rappresentazione emotiva di Imberty.
Proseguendo nelle proprie ipotesi interpretative, gli autori formulano un’analogia tra l’essere umano e il suono, in quanto entrambi sostanzialmente composti di tre elementi: movimento, sensorialità ed atti mentali. Esisterebbe tra loro un rapporto di reciprocità nel senso che se si può cogliere nel suono il movimento, la sensorialità, il pensiero che l’hanno creato, è altrettanto possibile che un suono provochi negli esseri umani movimenti, sensazioni, emozioni, pensieri. Quest’ipotesi molto suggestiva ci proietta in un gioco di rimandi tra l’uomo e il suono, rimandi che si intrecciano fino a determinare per ciascun essere umano un’impronta digitale sonora in cui convivono  dati biologici, psicologici, culturali e antropologici. Si tratta di una dimensione che può essere assimilata a quella che Winnicott definisce “area transizionale”, un ponte tra interno ed esterno, una zona intermedia che non appartiene né alla realtà esterna né alla realtà interna, una zona franca, neutra, libera da invasioni o da aggressioni.
La musica, intesa in senso molto ampio, secondo questa prospettiva, potrebbe assumere i contorni di “oggetto transizionale” (per Winnicott si tratta di un oggetto materiale e reale come un pezzo di stoffa o un orsacchiotto di peluche, che per esempio il bambino tiene con sé al momento di addormentarsi), che nell’esperienza musicoterapica andrebbe a rappresentare gli scambi sonoro-musicali che si sviluppano in una comunicazione condivisa.




[1] D.Gaita,  Il pensiero del cuore,  Bompiani,  Milano, 1991.
[2]Postacchini, Ricciotti,Borghesi,  Musicoterapia,  Carocci, Roma,1997.

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