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venerdì 13 febbraio 2015

Laboratorio di gruppo Adulti




 Sono corpo, sono mente, sono spirito, sono cuore, sono respiro...sono ....sono...sono...


 


Sono tante cose insieme e nessuna è eliminabile.
Ma come trovare l'unità tra le parti che dicono di me chi sono?
Come mi vedo?
Come mi sento?
Come mi percepisco?
Ci sono tanti possibili percorsi personali e di gruppo.







Il laboratorio si rivolge a persone alla ricerca di … se stesse… per ri-trovarsi… anche insieme agli altri.
Si tratta di un  percorso di autoconsapevolezza, attraverso modalità di comunicazione non verbale all’interno del gruppo, accogliendosi reciprocamente.

Durante gli incontri affronteremo il tema della comunicazione che aiuta a costruire relazioni.

Come comunicare se non ascoltando? E cosa ascoltiamo? Come?

Attraverso giochi, improvvisazioni corporeo-sonoro-strumentali e “ascolti” si farà un viaggio per ri-scoprire il contatto con il proprio sé e la possibilità di entrare in relazione con il mondo.

La nostra proposta si articola in quattro incontri a  partire da Giovedì 5 marzo ore 18.30/20.00.
Il laboratorio può essere utile a tutti coloro che sono impegnati in contesti  in cui la Persona è al centro delle attività. Avere consapevolezza del proprio "essere/esistere" favorisce e potenzia la capacità di ascolto necessaria nelle relezioni d'aiuto di qualsiasi tipo.
Destinatari privilegiati sono insegnanti, educatori, operatori socio-sanitari e chi, comunque, opera in ambiti in cui la Relazione è centrale.  
Le modalità di partecipazione al laboratorio sono indicate nella scheda di iscrizione.
Per info contattare il 3407440068 oppure scrivere a intermezzocoop@gmail.com.


mercoledì 4 febbraio 2015

Alle origini dell'esperienza sonoro-musicale



Cos’è che guida chi suona a prendere una strada piuttosto che un’altra? Perché suonare? Per il proprio piacere? Perché suonare abitua alla disciplina o, meglio, sviluppa alcune capacità che rendono più “intelligenti”? Quando è bene iniziare a suonare? A questo proposito la Music Learning Theory (MLT) di Edwin E. Gordon, autore di numerose ricerche sull’attitudine musicale, può essere illuminante. Il ricercatore statunitense ha elaborato una teoria secondo la quale è possibile dare un forte impulso allo sviluppo delle capacità di percezione e di riproduzione dei suoni proprio nel periodo della loro massima espansione che va dalla gestazione ai sei anni circa d’ età.
Ormai sono diversi gli studiosi che analizzano l’esperienza sonoro/musicale che si fa prima ancora di nascere. È a conoscenza di tutti che nella vita intrauterina il feto percepisce i suoni, sia quelli provenienti dall’ esterno, sia quelli provenienti dall’ interno, prodotti dai suoi stessi movimenti e dalla vita neurovegetativa della madre. Tramite il suono, dunque, il feto inizia a conoscere il mondo e ne ha un ricordo tanto che, da neonato, preferisce i suoni che ha già sperimentato durante la vita intrauterina, come il battito cardiaco, le storie, le canzoni e le ninne nanne cantate dalla madre in gravidanza. 
È stato anche dimostrato che musiche fatte ascoltare ripetutamente al feto venivano poi riconosciute dal neonato che dava segni di gioia nel riascoltarle.
Questi dati confermano, quindi, che il primo sviluppo del sistema nervoso avviene già nelle prime settimane di gravidanza, che gli stimoli già allora vengono trasmessi al cervello, percepiti e depositati nella memoria e che quindi il feto può memorizzare ed apprendere.
A proposito dell’importanza dell’esperienza sonora fetale per lo sviluppo cognitivo e musicale del neonato, uno studio condotto da D.J. Shether ha fornito risultati interessanti. Bambini tra i due e i cinque anni, esposti nella vita prenatale ad una certa stimolazione musicale, sono in grado di fare discorsi organizzati e articolati, sanno memorizzare canzoni lunghe e cantano in modo espressivo. Altri bambini identificano i suoni e li ripetono in modo creativo, altri ancora desiderano improvvisare canzoni proprie; molti cantano a memoria un buon numero di canti, alcuni ricordano i nomi degli strumenti e li suonano correttamente anche se li vedono a distanza di due-tre mesi, altri ancora spesso suonano cantando. La musica prenatale, quindi, stimola fortemente il loro sviluppo sia musicale che cognitivo.
 Interessante è la posizione di A. Tomatis, il quale sostiene che “… con la nascita si assiste ad un vero parto sonico.”[1]   L’embrione, già dal secondo mese di vita, è in grado di conservare traccia delle informazioni a livello dei nuclei vestibolo-cocleari, per cui si avrebbe così la formazione di una funzione mnemonica, che sarebbe potenziata a livello di sistema nervoso contemporaneamente alla sua evoluzione, più tardiva rispetto a quella dell’organo uditivo. Secondo Tomatis, perciò, durante la vita intrauterina si instaura la più importante forma di contatto tra madre e nascituro : “Una volta offerto l’utero come nido, la madre nutre il feto in ogni maniera possibile. Soprattutto lo nutre di suoni. Si rivela al feto attraverso tutti i rumori organici, viscerali e specialmente mediante la sua voce. Il bambino è immerso in quest’ ambiente sonoro. Dalla voce materna ricava tutta la sua sostanza affettiva.”[2] Considerando le cose in quest’ ottica è chiaro che il bambino, quando nasce, ha già sviluppato una discreta capacità percettiva a livello uditivo, cosa che gli consente di vivere l’esperienza sonora del mondo in cui viene alla luce come qualcosa di conosciuto.
Infatti la vita intrauterina favorisce una prima dimensione relazionale del feto con il mondo esterno grazie all’ utero che rappresenta non solo la possibilità di nutrire, ma anche di veicolare la comunicazione sonora e tattile. Sempre secondo Tomatis l’udito è l’organo di senso più importante nel fornire energia neuronale al cervello, che così può svolgere al meglio le proprie funzioni.
Assodato perciò che esiste un’esperienza uditiva prenatale significativa, quale peso questa esperienza può avere nel motivare l’uomo ad accostarsi alla musica? Perché spesso sentiamo dire che la musica per noi esseri umani è un fatto “naturale”? La ricerca pedagogica e psicologica ha visto nella musica, d’ altronde, un potenziale per lo sviluppo della persona. Gli studi fatti in questa direzione chiariscono che nel bimbo molto piccolo rimangono le tracce dell’esperienza uditiva prenatale le quali influiscono sulla qualità del rapporto con l’ambiente circostante in cui fa da mediatrice la madre. Si può, abbastanza fondatamente, parlare di “esperienza sonora” nel periodo prenatale, per cui è lecito supporre che il rapporto uomo-musica sia molto stretto e forte sin dall’inizio.
Come si struttura, quindi, questo rapporto con l’universo sonoro, una volta che veniamo al mondo? Quale influenza può avere l’esperienza sonora prenatale sulla vita dopo la nascita?


   


[1] A. Tomatis (1995),  Ascoltare l’universo,   Tr. it.  Baldini & Castoldi,  Milano 1998.
[2] A. Tomatis (1977),  L orecchio e la vita,  Tr. it. Baldini & Castoldi,  Milano 1998.