Cos’è che guida chi suona a
prendere una strada piuttosto che un’altra? Perché suonare? Per il proprio
piacere? Perché suonare abitua alla disciplina o, meglio, sviluppa alcune
capacità che rendono più “intelligenti”? Quando è bene iniziare a suonare? A
questo proposito la Music
Learning Theory (MLT) di Edwin E. Gordon, autore di
numerose ricerche sull’attitudine musicale,
può essere illuminante. Il ricercatore statunitense ha elaborato una
teoria secondo la quale è possibile dare un forte impulso allo sviluppo delle
capacità di percezione e di riproduzione dei suoni proprio nel periodo della
loro massima espansione che va dalla gestazione ai sei anni circa d’ età.
Ormai sono diversi gli studiosi che analizzano l’esperienza
sonoro/musicale che si fa prima ancora di nascere. È a conoscenza di tutti che
nella vita intrauterina il feto percepisce i suoni, sia quelli provenienti
dall’ esterno, sia quelli provenienti dall’ interno, prodotti dai suoi stessi
movimenti e dalla vita neurovegetativa della madre. Tramite il suono, dunque,
il feto inizia a conoscere il mondo e ne ha un ricordo tanto che, da neonato,
preferisce i suoni che ha già sperimentato durante la vita intrauterina, come
il battito cardiaco, le storie, le canzoni e le ninne nanne cantate dalla madre
in gravidanza.
È stato anche dimostrato che musiche fatte ascoltare
ripetutamente al feto venivano poi riconosciute dal neonato che dava segni di
gioia nel riascoltarle.
Questi dati confermano, quindi, che il primo sviluppo del
sistema nervoso avviene già nelle prime settimane di gravidanza, che gli
stimoli già allora vengono trasmessi al cervello, percepiti e depositati nella
memoria e che quindi il feto può memorizzare ed apprendere.
A proposito dell’importanza dell’esperienza sonora fetale per
lo sviluppo cognitivo e musicale del neonato, uno studio condotto da D.J.
Shether ha fornito risultati interessanti. Bambini tra i due e i cinque anni,
esposti nella vita prenatale ad una certa stimolazione musicale, sono in grado
di fare discorsi organizzati e articolati, sanno memorizzare canzoni lunghe e
cantano in modo espressivo. Altri bambini identificano i suoni e li ripetono in
modo creativo, altri ancora desiderano improvvisare canzoni proprie; molti
cantano a memoria un buon numero di canti, alcuni ricordano i nomi degli
strumenti e li suonano correttamente anche se li vedono a distanza di due-tre
mesi, altri ancora spesso suonano cantando. La musica prenatale, quindi,
stimola fortemente il loro sviluppo sia musicale che cognitivo.
Interessante è la posizione di A. Tomatis, il
quale sostiene che “… con la nascita si assiste ad un vero
parto sonico.” L’embrione,
già dal secondo mese di vita, è in grado di conservare traccia delle
informazioni a livello dei nuclei vestibolo-cocleari, per cui si avrebbe così
la formazione di una funzione mnemonica, che sarebbe potenziata a livello di
sistema nervoso contemporaneamente alla sua evoluzione, più tardiva rispetto a
quella dell’organo uditivo. Secondo Tomatis, perciò, durante la vita
intrauterina si instaura la più importante forma di contatto tra madre e
nascituro :
“Una volta offerto l’utero
come nido, la madre nutre il feto in ogni maniera possibile. Soprattutto lo
nutre di suoni. Si rivela al feto attraverso tutti i rumori organici, viscerali
e specialmente mediante la sua voce. Il bambino è immerso in quest’ ambiente
sonoro. Dalla voce materna ricava tutta la sua sostanza affettiva.”
Considerando le cose in quest’ ottica è chiaro che il bambino, quando nasce, ha
già sviluppato una discreta capacità percettiva a livello uditivo, cosa che gli
consente di vivere l’esperienza sonora del mondo in cui viene alla luce come
qualcosa di conosciuto.
Infatti la vita intrauterina
favorisce una prima dimensione relazionale del feto con il mondo esterno grazie
all’ utero che rappresenta non solo la possibilità di nutrire, ma anche di
veicolare la comunicazione sonora e tattile. Sempre secondo Tomatis l’udito è
l’organo di senso più importante nel fornire energia neuronale al cervello, che
così può svolgere al meglio le proprie funzioni.
Assodato perciò che esiste un’esperienza
uditiva prenatale significativa, quale peso questa esperienza può avere nel
motivare l’uomo ad accostarsi alla musica? Perché spesso sentiamo dire che la
musica per noi esseri umani è un fatto “naturale”? La ricerca pedagogica e
psicologica ha visto nella musica, d’ altronde, un potenziale per lo sviluppo
della persona. Gli studi fatti in questa direzione chiariscono che nel bimbo
molto piccolo rimangono le tracce dell’esperienza uditiva prenatale le quali
influiscono sulla qualità del rapporto con l’ambiente circostante in cui fa da
mediatrice la madre. Si può, abbastanza fondatamente, parlare di “esperienza
sonora” nel periodo prenatale, per cui è lecito supporre che il rapporto
uomo-musica sia molto stretto e forte sin dall’inizio.
Come si struttura, quindi, questo
rapporto con l’universo sonoro, una volta che veniamo al mondo? Quale influenza
può avere l’esperienza sonora prenatale sulla vita dopo la nascita?